Il numero crescente di positivi al Covid-19 ha costretto l’Ats di Milano a rinviare la sfida Inter-Sassuolo: le motivazioni che hanno spinto l’organismo sanitario lombardo ad adottare la decisione in questione riguarda la presenza di un focolaio con una trasmissione virale attiva, considerato l’elevato rischio di circolazione di varianti più contagiose.
Il protocollo adottato dopo il caso dei numerosi contagi tra le fila del Genoa, denominato “dei dieci contagiati”, prevede la regolare disputa delle gare in presenza di un numero inferiore di positivi al Covid-19, “fatti salvi eventuali provvedimenti delle Autorità statali o locali”. Una disposizione che legittima qualsivoglia Asl a provvedere, anche a poche ore dal fischio di inizio dell’incontro in questione, al rinvio delle gare. E a nulla vale il riferimento che prevede “qualora uno o più calciatori dello stesso Club risultassero positivi al virus la gara sarà disputata purché il Club in questione abbia almeno tredici calciatori disponibili (di cui almeno un portiere)”.
Eppure la situazione è tutt’altro che chiara, basta vedere il rinvio del match tra l’Inter e il Sassuolo alla presenza di soli quattro contagiati, nella fattispecie Handanovic, D’Ambrosio, De Vrij e Vecino. Sul caso è intervenuto anche il noto giornalista Mario Sconcerti, che ha criticato senza mezze misure queste decisioni che, a suo avviso, sembrano esorbitare rispetto ai protocolli adottati dalle autorità sanitarie e al limite anche delle disposizioni statali e governative.
Nel suo appuntamento giornaliero sul portale calciomercato.com con la rubrica Un cappuccino con Sconcerti, il giornalista afferma: “Se un’Asl dice di mettersi in quarantena non c’è dubbio che siamo tutti tenuti a farlo. Siamo anzi obbligati da una legge dello Stato. Le società di calcio – continua – fanno tre tamponi a settimana, ma questo non evita i contagi, certifica che ci sono. Nessun tampone è in grado di dirti cosa succederà domani. Il protocollo del calcio si dice che non esiste più, è un vecchio compromesso superato dalla discrezionalità delle Asl. Benissimo. Ma se il crollo del protocollo rende tutti uguali – si legge – davanti alla sanità pubblica, perché il campionato gioca e nessun’altro no? Perché noi stiamo a casa e i giocatori, inessenziali come tutti noi, vanno perfino in giro per il mondo? Delle due l’una: o vale il compromesso del protocollo e allora si può giocare a certe condizioni, o – conclude – valgono le regole del paese e allora vince il loockdown per tutti. Qualcuno sa sciogliere il nodo?”.