Remix

Dalla prima volta in discoteca nel 1994 a Bologna-Fiorentina 24 anni dopo. Le pretese nei confronti di Pippo Inzaghi tra campo e mercato Nel 1994 misi per la prima volta piede in una discoteca. Me la vidi quasi subito con gli effetti del Martini mischiato alla Coca Cola, dovetti imparare a gestire il problema del fumo (intriso nei vestiti, da giustificare a casa) e a vincere la timidezza per chiedere in consolle come si chiamasse una canzone che mi aveva addirittura spinto a ballare. Ne uscii dopo essermi innamorato tre volte e senza uno straccio di numero di telefono, ma conoscere il titolo in inglese di un paio di pezzi (mica c’era Shazam!!) mi sarebbe tornato buono per fare colpo il sabato dopo! Sì, senz’altro.. Ricorro a loro, invece, una domenica sera di 24 anni dopo, pensa mò te..Ieri il Bologna pareggia e uno stuolo di presenti in tribuna attende il proprio turno “in balaustra”, prima di incanalarsi verso l’uscita, per esprimere in processione il proprio dissenso; ne odo distintamente una dozzina (“buffoni”, “vergogna”), poi mollo perchè non è esattamente una goduria. Oggi gran parte del tifo rossoblù è stanco, ingrigito dall’amarezza, desolato, rassegnato, disilluso, pretenderebbe da una squadra che ritiene orrenda che batta gli avversari, e dall’allenatore bel gioco. Mi colpiscono il sempreverde “a lavorare!”, che boh… e un “Inzaghi và là che è ora di tornare a casa”. A parte l’ipnotica contraddizione a cui questa società ha portato il bolognese (appunto, il “facciamo schifo, ma dobbiamo vincere e dare spettacolo se no siamo scontenti”), c’è una base da cui sarebbe bene non allontanarsi troppo per preservare la propria bile nei prossimi 6 mesi e non confondere tra loro i responsabili dell’attuale momento storico… . Ecco, qui mi ricollego temerariamente a Missing degli Everything But The Girl e a Space Cowboy dei Jamiroquai, che quando uscirono non ebbero un successo enorme. Poco dopo, però, ci misero le mani rispettivamente Todd Terry e David Morales, disc jockey di sensazionale maestria: trascinarono in pista mezzo mondo, sfondarono record su record di vendite, svoltarono la carriera loro e degli autori originari. I due, a differenza del nostro allenatore, poterono tuttavia lavorare su un prodotto già buono, completo, autosufficiente. Non capolavori, ma gran bei brani. Aggiunsero e modellarono in altezza, mica dovettero inventarsi le fondamenta. Filippo Inzaghi, invece, proprio questo dovrebbe fare: inventare una base, un sostegno, una struttura. Allargare un margine di miglioramento purtroppo molto risicato, agghindare un’impalcatura abbozzata da chi gli ha consegnato i tasselli, portarsi da casa il cacciavite a stella, lo scotch, il fair, il desair e fare con quello che -soprattutto- non ha (un trequartista, un centrale, una mezzala dinamica, un esterno di maggior talento). Finora, ha tenuto insieme viti e bulloni, mattoni e piastrelle, ha martellato, incollato, ha ridotto la portata del progetto (mammamia, “il progetto”) e si arrangia. Il Bologna è brutto ma almeno tosto. Basso, ma ancora in piedi, e con la bava alla bocca. Speriamo sia sufficientemente sazio fino a gennaio per reggere. Sempre che a Casteldebole a gennaio si abbia la coscienza per ammettere, con i fatti, di avere sbagliato (cosa che non ho mezzi per ritenere credibile) e si abbia la voglia, la competenza, l’umilità di migliorare la rosa. Fatti forza, Bologna. E fatti forza, Filippo. O mal che vada, un Coca&Martini.  

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