Nonostante le difficoltà del calcio italiano, il Bologna continua a ricevere – meritate – soddisfazioni dalle vicende calcistiche in corso. Il piano tecnico è simboleggiato dalla Svizzera, dalla sua vittoria contro gli azzurri e dal marchio impressovi da Freuler. E tra parentesi a chi scrive non è sfuggito che la Tv ticinese ha sentito Di Vaio prima della gara e, al di là di titoli un po’ troppo sbrigativi, anche il viaggio di Sartori oltre confine e i contatti con Mattia Croci–Torti, tecnico del Lugano, non sono stati smentiti. Semplicemente, e forse giustamente, la scelta si è orientata su Italiano perché più a conoscenza del pallone nostrano e dei meccanismi delle coppe europee.
Ma l’innalzamento della considerazione di cui godono oggi i rossoblù – e ciò avviene in contemporanea con la cittadinanza onoraria bolognese conferita a Joey Saputo – sta anche nello strumento forse meno comprensibile e più “politico” sventolato in conferenza stampa post-tonfo elvetico dal Presidente Figc Gabriele Gravina.
La “commissione tecnica” annunciata dal boss federale ha due componenti generati dalle big tradizionali, Marotta e Giuntoli, Inter e Juventus, e due dalle neo-grandi, Atalanta e Bologna, nelle figure di Marino e Sartori. Che la new entry sia rappresentata da Casteldebole è una conferma: della bravura del dirigente e anche della maturità finalmente raggiunta dal club.
I quattro assommano sicuramente grande competenza tecnica, in due casi anche gestionale (Marotta e Marino), e l’iniziativa mette sul piatto quattro figure emerse dalle “minors”, tutti hanno fatto gavette significative. Peccato che Maldini sia uscito dalle fila rossonere, ci sarebbe stato benissimo. E del resto Zola, vicepresidente vicario di LegaPro, per carriera paragonabile al difensore milanista, è ora il testimonial di un campionato in rampa di lancio come la C.
Il punto non è il loro status, la loro competenza, la loro giusta “artigianalità”. Il punto è cosa debbono fare e come possono incidere. Il rischio è quello della classica commissione d’inchiesta parlamentare, fiumi di parole e zero operatività.
Se fosse semplice trasformare i successi delle selezioni giovanili in moneta sonante per i club che contano (tutto sommato, a parte Calafiori, il campionato sui giovani non ha prodotto nulla di proponibile. Chi parla di Colpani come di una convocazione mancata ignora la totale desuetudine del ragazzo ai palcoscenici più alti. Al di là del fatto che ha già 25 anni…), riducendo il ruolo del selezionatore a quello di puro “mettitore in campo”, allora i “fab 4” sarebbero indispensabili. Così, rischiano solo, e non è poco, di fare gli accademici senza incidere.
Io vorrei banalizzare il senso di questa specie di tragedia nazionale che è stato – innegabilmente – l’aver fatto schifo in Germania. Questione soprattutto di chiappe, certo. Bastava una mamma di Sesto in Pusteria, diciamo la cugina della genitrice di Sinner. Poniamo che la parente, di nome Jodl, mettesse al mondo un centravanti prolifico. Tutto il guano riservato a Presidente e CT sarebbe rimasto nel water. Quindi il Presidente FIT, Binaghi, è un fortunello? Certamente. E Gravina meno.
Poi sicuramente possiamo discutere di gioco, di confusione tattica, di scelte opinabili, di atteggiamenti rivedibili, di strategie e strutture inadeguate, di dirigenti federali improponibili, ma se, al posto di suo tatuaggio Scamacca e sua “tristisia” Retegui, ci fosse stato Anzlèin Schiavio, non dico Beppe Meazza, avremmo avuto chance di finale. Ancorché il resto della squadra avesse poche idee, poca garra, poco tutto.
Chiudo con uno spunto…generazionale. Se la Spagna fa giocare un sedicenne, beh, mettiamoci nelle condizioni di avviare il milanista Camarda al soglio più elevato. Tanto peggio, benché imberbe, non potrà fare.
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