Roberto Rosetti è stata uno degli arbitri più conosciuti e stimati del panorama calcistico nazionale e internazionale. Al momento è il capo degli arbitri della Uefa e ha rilasciato al quotidiano “La Stampa” un intervista sui temi più importanti legati al mondo del calcio. Queste le sue parole
«Erano dei direttori di gara italiani: io ero stato nominato responsabile del progetto Var per il nostro campionato e il nostro campionato stava bruciando le tappe per dare il via libera, in chiaro, alla grande rivoluzione con una stagione di anticipo. Poi grazie a loro il primo anno di Var in Italia è stato straordinario».
«Spegnere la Var è impensabile». Immaginiamoci cosa sarebbe il calcio se cancellassimo tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni. Il caos».
«Il gioco del calcio è sacro, fluidità, ritmo, vive di dinamiche e imprevedibilità, di interpretazioni soggettive delle regole. Nelle Competizioni europee abbiamo un intervento Var ogni tre partite, ogni possibile situazione arbitrale viene analizzata (quest’anno in 660 partite con il Var, 3020 check, 214 interventi Var). Vi faccio una domanda: se agli allenatori o ai capitani venisse concessa la possibilità di chiamare l’intervento Var due volte a partita, siamo sicuri che la fluidità del gioco stesso non verrebbe intaccata? E se ci fosse un errore evidente a challenge terminati?. Potrebbe generare più equivoci che chiarezza».
«Le regole le modifica l’Ifab, il vero guardiano delle regole del gioco, io mi limito ad una riflessione».
«L’eventuale novità, tra l’altro, modificherebbe l’utilizzo del Var così come lo conosciamo: palla agli allenatori o capitani o palla alla chiamata così come da protocollo attuale. Tutte e due insieme non sarebbe attuabile, stravolgerebbe il calcio».
«Su questo aspetto credo che siamo lontani da una possibile introduzione: il tempo effettivo non si sposa con i tempi del calcio».
«Siamo soddisfatti della media nelle Competizioni Uefa, quasi 60 minuti in Champions, sono anni che lavoriamo sulla velocizzazione delle riprese di gioco. Arbitri proattivi, meno pause, più ritmo ed emozioni».
«Alto, altissimo, progetto semplice ma cruciale per l’immagine del calcio che ha valore educativo fondamentale per le future generazioni di calciatori e arbitri. E siamo solo all’inizio. Non se ne può più del mobbing agli arbitri».
«Per me la Var è Argentina-Messico, ottavi di finale del Mondiale 2010. Tevez segna la rete dell’1-0 in fuorigioco, tutto il mondo può rivedere quello che io, arbitro della partita, non posso. Un errore. Tornai a casa, credo che la finale di quel Mondiale sarebbe toccata a me…».
«Europei del 2008, Germania-Spagna: si gioca la finale, nessuno ha parlato dell’arbitro…».
«Non ricordo… fu molto gentile».
«Lavoriamo in modo ossessivo per garantire l’uniformità dell’applicazione delle regole. Abbiamo idee e strategie. E i risultati sono ottimi nonostante la provenienza da ogni nazione europea dei singoli arbitri: la competenza della mia squadra, i seminari e l’accademia arbitrale della Uefa sono la chiave».
«Posso solo dire che per noi il rigore è qualcosa di serio: che comporta una chiara azione fallosa commessa dal difensore».
«Non è così: basta guardare gli ultimi dati. La Serie A si è avvicinata alla media della Champions negli ultimi anni . Gianluca Rocchi lavora nella nostra direzione, il confronto è continuo…».
«Un atleta al top che decide, sempre, in campo, con grande personalità, conoscenza totale del calcio: la Var non si aspetta, è solo un aiuto».
«Ci sono. E non solo i senatori: stanno crescendo giovani all’altezza».
«Orsato è una leggenda del nostro mondo».
«La scuola di chi ci ha preceduto si sente, pesa, ti trasmette senso di appartenenza. Nessun segreto».
«Un monitor a bordo campo con due tecnici: si chiama leggera proprio per questo. Abbatte i costi ed è facilmente attuabile dal punto di vista degli strumenti: la sperimentazione è in corso, aiuterà i paesi con meno risorse. Il Var è un altra cosa».
«Ma certo. Hanno fatto in fretta. Non ho mai capito, e non capirò mai, chi parla di direttori di gara contrari al Var. Favole».
«Sì. Eravamo in un seminario in Olanda nel marzo del 2014, eravamo pochi. Per l’Italia il presidente Tavecchio e Michele Uva ci credettero da subito…».
«Una piaga. A livello Uefa stiamo facendo un grande lavoro sul tema (la UEFA Refereeing Campaign) e qualcosa sta cambiando perché, alla fine, prevale la passione di chi vuole entrare in un mondo di regole. Una cosa deve essere chiara: servono pene certe, chi tocca gli arbitri non dovrebbe entrare mai più in uno stadio. La vera svolta? L’arbitro dovrebbe dirigere da pubblico ufficiale per tutta la durata della gara».
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