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Bologna, Barrow: “Non posso e non devo dimenticarlo”

Dopo i gol arrivati contro l'Inter, i "fratelli" Musa – Barrow e Juwara – sono diventati gli idoli dei tifosi e dei loro connazionali del Gambia. "Quella di Musa è la storia di tanti miei amici" afferma Barrow, "io ho avuto una storia diversa. Forse anche per questo porto un grande rispetto per chi ha fatto il suo viaggio. A Musa dico sempre di mandare alla mamma la metà di quello che guadagna. Tanto a lui, per vivere, basta e avanza. Quando io mi guardo, qui a Bologna seguito dall’attenzione di tanti, penso alla mia vita, a quella dei miei coetanei in Gambia e so, non devo dimenticarlo mai, che ho tutte le ragioni per essere felice. Mio padre è morto quando avevo due mesi e io sono rimasto solo con mia madre, che si è fatta in quattro per me. Anche lei era insegnante e grazie al fatto che i suoi fratelli erano emigrati in America e le mandavano dei soldi, noi abbiamo potuto vivere una vita dignitosa. Lei voleva che studiassi, ma io avevo la mania del pallone. Una volta, ero piccolo, mi ricoverarono in ospedale. Anche lì non pensavo altro che al calcio. Il dottore disse a mia madre: “Vedrà che diventerà un campione”. La sera mia madre mi doveva venire a cercare perché studiassi. E mi trovava sempre nello stesso posto: lo spiazzo dove giocavamo fino al buio con i miei amici. Noi in Gambia siamo un po’ brasiliani. Dateci un pallone e siamo felici. Mi vide lì un osservatore, Sorrentino, che mi fece giocare una partita di prova. Poi, a 14 anni, mi portarono a Bergamo per un provino con l’Atalanta. Andò bene, ma per la legge sui diciotto anni, dovetti tornare in Gambia. E lì è stato duro aspettare. Raggiunta la maggiore età sono tornato a Bergamo. Città che ho nel cuore. Ho molto sofferto per quello che è successo lì con la pandemia. Ho ancora tanti amici in città e ho provato grande dolore con loro, per loro. Quando giocavo nella Primavera c’era una coppia di anziani signori che veniva sempre a vederci. A fine partita mi davano consigli e giudizi. Ora lei è morta di Covid. Come don Fausto Resmini che seguiva noi ragazzi dell’Atalanta. Dico sempre a Musa di ricordarci, noi più di altri, da dove siamo partiti. Nel calcio devi faticare. Se lavori arriva tutto, ma devi essere umile. Tanti miei amici sono stati inghiottiti da quei viaggi disperati. Non posso, non devo dimenticarlo".

Antonio Ferrantino

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