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Quagliarella: “Il gol è una malattia. Io come un pittore con una sola differenza”

L’ex giocatore della Juventus, Fabio Quagliarella è intervenuto in un’intervista alla Gazzetta dello Sport dove ha raccontato aneddoti e curiosità sulla sua carriera. Queste le parole riportate integralmente da ilBianconero.com.

IL GOL – “Giocare sui campetti? Quel che facevo fino a qualche anno fa, quando già ero professionista e tornavo a casa in estate. Con un caldo feroce, mi ripresentavo con il mio pallone su quel campetto in terra battuta vicino a casa dei miei genitori, dove tutto aveva avuto inizio: un amico in porta, mio fratello e altri ragazzi che mi facevano i cross. E io calciavo, anche per due ore. Il gol è la mia malattia… Ancora oggi, se potessi, starei due ore a provare solo i tiri da lontano. L’immagine di un portiere che al massimo dello sforzo non riesce a bloccare il tuo tiro è la gioia più grande”.

ARTE – “L’unica differenza rispetto a un pittore è che io non mi ispiro a qualcosa o a qualcuno, ma è vero che leggo in anticipo certe situazioni di gioco. Vivo per questo: il gesto tecnico di un attaccante è un concentrato fra istinto, balistica, coordinazione, dinamica, forza e… soprattutto fortuna. Ma se certi gol sono una costante, allora puoi dire di avere qualcosa di innato”.

ROVESCIATE – “Ho sempre segnato certe reti. Da piccolo, in cortile, facevo le rovesciate sull’asfalto, o tiravo dalla lunga distanza. Mi sono sempre spinto oltre. Lì pensi che sia tutto normale. Poi, arrivato in un settore giovanile ho messo tutto a fuoco”.

VISIONE – “Alcuni gesti si possono allenare. Io, per esempio, lavoro sul piede sinistro. Non puoi perdere un’occasione da gol perché devi passare sull’altro piede. Poi puoi allenare la coordinazione. In campo talvolta ci sono l’ansia del risultato, i tifosi. Ti dicono: “Gioca semplice”: Ma io di questo me ne sono sempre sbattuto. Mai ho pensato: “Se la tiro in curva?”. Se non ci provo, non posso saperlo. Vi racconto un episodio: ero nella Juventus, e una volta dalla panchina ho visto arrivare la palla a centrocampo. A un compagno ho urlato d’istinto: “Calcia in porta”. E gli altri seduti vicini a me: “Vedi, noi non l’avremmo neppure mai pensato”. Quando parlo con Cassano, gli dico: “Tu vedevi delle cose in campo che altri non avrebbero compreso””.

GOL SPECIALI – “Ne ricordo uno a Paternò… Un amico di recente mi ha mandato un link con tutte le reti di quell’anno e sono andato a rivederle, provando a correggere mentalmente certi errori dell’epoca. Su Facebook ho letto poi uno scambio di messaggi fra vecchi compagni e altri utenti che commentavano i miei gol: “Voi vedete i suoi colpi in A, ma non immaginate come segnava in allenamento”. Vorrei avere le riprese video a Bogliasco per filmare le nostre sedute”.

GOL MANCATO – “Esordio con il Napoli, al vecchio San Paolo. Tiro da centrocampo e traversa piena. Sul momento ho pensato: “L’ultimo che ha fatto gol da qui si chiamava Diego”. Quell’anno segnai undici reti. Sarei stato più contento se avessi fatto solo quel primo gol. E alla domanda “Quanti gol hai segnato nel Napoli?” Risposta: “Uno. Da centrocampo. Fine”. Quella traversa mi dà un fastidio che neppure immagina”.

DI NATALE – “Faceva gol e come e quando voleva. A volte pubblica sui social alcuni video di sue reti. Gli dico: “Non farlo, fermi lo sviluppo di tanti presunti campioni che al primo tiro in porta pensano di valere tanto. Se vedono i tuoi gol smettono. Ora appena uno segna si parla di convocazione in Nazionale. Io avevo davanti mostri sacri da 30 gol a stagione: ma sono cambiati i tempi”.

INSEGNARE – “Mi piacerebbe. Ai giovani direi: “Sbattetevene dell’errore. Provateci”. Anche se ho l’uno per cento di possibilità ci provo sempre. Sto facendo il corso da allenatore, si parla anche di questo. A nove, dieci anni i ragazzini devono divertirsi, esprimere l’estro. L’oratorio, la strada si parte da lì. Quando torno oggi a casa dai miei, invece, il cortile è vuoto. Nessun bambino”.

Ludovica Carlucci

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