Ventâanni dopo, ancora lâOlimpico, ancora un 4-2. Il 5 maggio 2002 la Lazio, con in campo Simone Inzaghi, spense contro ogni pronostico le speranze dellâInter di acciuffare uno scudetto che mancava dal 1989. Oggi, nel day-after della finale di Coppa Italia, in un contesto diverso e in un calcio che sembra giĂ unâaltra cosa rispetto a quello di due decenni fa, il tabellone dellâOlimpico mostra un altro 4-2. Ma chi ha a cuore le sorti nerazzurre sorride: Simone Inzaghi stavolta fa lâallenatore, ha vinto la sua quarta finale su cinque disputate contro i bianconeri e il secondo trofeo stagionale.
Colui che era arrivato in una squadra a detta di tutti smobilitata, che non avrebbe piĂš detto la sua dopo le cessioni di Lukaku e Hakimi, con un allenatore che aveva lasciato in mezzo a molti malumori e indispettito dal non poter ottenere rinforzi per continuare lâopera del diciannovesimo scudetto, alias Antonio Conte, è riuscito a non far rimpiangere il suo predecessore. Anzi: ha addolcito ancor di piĂš il palato degli interisti.
LâInter ha segnato quattro reti, e al netto di come si è svolta la contesa, pur vibrante, bella e aperta a qualsiasi risultato, chi fa poker è difficile non meriti di portare via la posta in gioco. Ferocia, determinazione, compattezza, corsa, e sovente sprazzi di qualitĂ : lâInter di Inzaghi questâanno, eccetto una flessione invernale dovuta anche agli impegni ravvicinati e pesanti con avversarie dâaltro rango, a 180 minuti dalla fine di un campionato che può ancora conquistare, ha comunque centrato il gradimento del popolo.
Di contro, quella ferocia e quella cattiveria che aveva distinto la Juventus di Conte, ma anche quella di Allegri del periodo 2014-2019, è stata smarrita chissĂ dove. Il parafulmine di Livorno, perchĂŠ di questo si è trattato, dopo un interregno breve targato Pirlo, sarĂ riuscito a arginare le critiche (dite la veritĂ , un tecnico pagato 9 milioni che per metĂ stagione lotta a metĂ classifica, non sarebbe stato bersagliato da stampa e tifosi?) ma non è riuscito laddove si sperava.Â
Se lâInter era partita in sordina, la Juventus godeva addirittura dei favori del pronostico alla vigilia di una stagione che invece è iniziata male e poi è stata timidamente raddrizzata. La Coppa Italia lâavrebbe addolcita, ma al netto di tattica, moduli, uomini e mercato, servito a mettere una pezza in gennaio, la Juventus ha proprio perso per strada quella personalitĂ che era lâarma in piĂš nei giorni di gloria. E ha giocato troppo in difesa, tutto lâanno. Pur rispettando la filosofia allegriana di spazzare in tribuna, la speculazione e le barricate non portano comunque troppo lontano.
Juventus-Inter, come detto, è stata una finale aperta, con squadre lunghe, occasioni e vibrazioni dellâanimo. Tutte cose che in Italia non vanno certo di moda. LâItalia di Mancini, che ha trionfato allâEuropeo certamente anche con qualitĂ , non è riuscita a far cambiare rotta a un calcio sempre schiavo di giochetti e speculazioni, imbruttito da partite con pochi tiri in porta e ritmi lentissimi che poi si pagano in Europa. Ecco perchĂŠ dobbiamo andare cauti nel dire che lâOlimpico è stato un bello spot per il nostro calcio. Magari lo fosse stato sul serio. E invece, da domani, torneremo a essere quelli che siamo sempre stati di cui sopra. Però suvvia, la finale numero 75 di Coppa Italia, stasera ci ha proprio divertito.
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