Qualche giorno fa, Antonio Conte ha partecipato presso l’UniSalento ad un evento organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza per il corso di laurea di Diritto e Management dello Sport e Scienze Motorie e dello Sport. L’ex allenatore di Inter e Juventus ha risposto a tante domande dando spunti molto interessanti soprattutto sul suo passato da calciatore di successo.
L’ex allenatore della Juventus ha ricordato gli inizi a Torino: “Ho avuto l’onore d’incontrare Trapattoni e probabilmente se non lo avessi trovato, non sarei rimasto per 13 anni alla Juventus. Prima di andare a Torino era tutto perfetto: giocavo nella squadra della mia città ed ero con i miei amici. Poi ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte. Quell’anno la Juventus non giocava le coppa e durante la settimana organizzavano delle partite amichevoli internazionali. In Francia, contro il Monaco, giocavo per la prima volta titolare e perdemmo per un mio errore. Quello sbaglio lo ricorderò per sempre, fu un mio fallimento. Una parte del percorso. Lì capì tante cose perché quel momento mi fortificò. Trapattoni mi aiuto tantissimo. Il primo anno a Torino non giocai molto e i primi mesi furono difficili. Fu un rischio perché uscivo dalla zona di confort della mia città. Spesso mi chiedevo se fosse la scelta giusta ma non volevo tornare da sconfitto. Questo mi ha motivato tantissimo a continuare, a non darmi per vinto. L’anno successivo le cose migliorarono e la carriera prese una piaga ben diversa. Sono riuscito ad accettare la paura a non farmi condizionare. Nei momenti di scelte non bisogna accettare la zona di comfort, bisogna accettare la sfida, mettendosi in gioco con la consapevolezza che si può fallire. Ma il fallimento è solo una parte del percorso”.
Il tecnico leccese si è poi sbilanciato in un voto alla sua carriera: “Come calciatore mi sono dato 8. Non ero un fenomeno ma tramite il lavoro e la perseveranza sono arrivato a buoni livelli. Non mi aspettavo di giocare per così tanto tempo nella Juventus o di arrivare in Nazionale. La mia prestazione la dovevo fare tramite corsa, qualità d’inserimento, sacrificio. Da allenatore, invece, mi riconosco quel talento che non avevo da giocatore. Sentivo una forte vocazione per l’insegnamento e allenare, dopo il ritiro, era quello che più volevo fare. A inizio carriera dichiarai che probabilmente se non avessi allenato nel breve periodo un top club avrei subito smesso. Credevo tanto in me stesso ed ero convinto che prima o poi avrei raggiunto i miei obiettivi“.
L’allenatore ex Tottenham ha risposto anche sulle ambizioni della squadra della sua città, il Lecce: “È una società che lavora seriamente, a partire dal Presidente fino ai calciatori. Sono contento per D’Aversa perché, oltre a essere un amico, è un grande allenatore. Ho visto un gruppo di ragazzi entusiasti e competenti. Ci sono buone basi per il futuro”.
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